Riforma pensioni 2023: salta l’incontro, le possibili novità in arrivo

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07/02/2022

Riforma pensioni 2023: salta l’incontro, le possibili novità in arrivo

Riforma pensioni 2023, la discussione sui nuovi criteri che dovranno essere adottati a partire dal prossimo anno doveva riprendere nella giornata di oggi. Ma le agenzie di stampa hanno confermato che l’incontro programmato tra governo e sindacati è stato rimandato. Le parti torneranno a riunirsi al tavolo negoziale per un nuovo confronto dopo che saranno stati vagliati i dettagli tecnici legati alla flessibilità in uscita.

Dal confronto dovranno infatti emergere le linee programmatiche da seguire al fine di avviare quei provvedimenti che potranno avere un impatto strutturale, in sostituzione delle sperimentazioni attualmente in atto. Tra i punti principali da superare ci saranno la quota 102, nata in seguito al termine della quota 100 e attualmente rivolta a una platea limitata di lavoratori.

Ma il nuovo sistema dovrà garantire la flessibilità previdenziale anche al di là delle altre opzioni di natura temporanea che attualmente continuano a caratterizzare le regole di uscita dal lavoro. Tutto ciò, insieme alla necessità di rilanciare la previdenza complementare, risolvere i problemi derivanti dal gender gap e prevedere una pensione di garanzia per i giovani che risultano attualmente inseriti all’interno del sistema contributivo puro.


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Riforma pensioni 2023: quali sono i punti di partenza per la nuova flessibilità

Considerando quanto appena evidenziato, appare chiaro che il prossimo confronto tra le parti rappresenterà un punto di passaggio fondamentale per la riforma del sistema previdenziale. Il governo è chiamato a rispondere alle richieste di maggiore flessibilità giunte dalle parti sociali, tenendo presente la necessità di mantenere sostenibile il bilancio. La quadratura del cerchio non appare semplice.

I sindacati chiedono un’opzione di flessibilità in uscita per tutti i lavoratori a partire dai 62 – 64 anni di età, ovvero i paletti anagrafici fissati dalle quote 100 e 102. In aggiunta, si domanda un intervento in favore dei lavoratori precoci con l’estensione universale della quota 41. D’altra parte, l’esecutivo sembra irremovibile nel sostenere la necessità di mantenere in essere il sistema contributivo puro.

Una possibile soluzione potrebbe quindi arrivare dalla mediazione di questi diversi fattori. Negli scorsi giorni si è parlato della proposta di avviare una forma di flessibilità generalizzata di uscita dal lavoro. Con una penalizzazione del 3% l’anno sulla parte contributiva. Formule di questo tipo potrebbero effettivamente consentire maggiori possibilità di uscita dal lavoro senza gravare eccessivamente sui bilanci dello Stato. Ma per capire se effettivamente si concretizzerà qualcosa di simile bisognerà attendere la verifica politica di oggi.


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Il punto di partenza: come si accede alla pensione nel 2022

Per comprendere meglio da dove partirà la riforma pensioni 2023 è fondamentale fare il punto della situazione in merito al punto di partenza. Le regole di accesso alla pensione nel 2022 prevedono l’uscita dal lavoro a partire dai 67 anni di età e 20 anni di versamenti con l’assegno di vecchiaia. La pensione anticipata ordinaria prevista dalla legge Fornero è detta di anzianità. Prevede la quiescenza con 42 anni e 10 mesi di lavoro (un anno in meno per le donne).

Vi sono poi diverse opzioni sperimentali. Queste sono in scadenza al prossimo 31 dicembre e in attesa di un eventuale rinnovo. Ricordiamo ad esempio la quota 102, che permette l’uscita con almeno 64 anni di età e 38 anni di versamenti, accettando il divieto di cumulo con altre attività lavorative. L’Ape sociale offre un’indennità fino alla maturazione dell’assegno di vecchiaia ai lavoratori in una comprovata situazione di disagio con almeno 63 anni di età e 30-36 anni di versamenti.

Infine, c’è la quota 41 rivolta ai lavoratori precoci che rientrano nei profili previsti dalla legge (ma serve almeno un anno di contribuzione prima del compimento del 19mo anno di età). E l’opzione donna, che garantisce la quiescenza dai 58 anni (59 anni per le autonome) e 35 anni di versamenti, accettando il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. Tutte queste opzioni dovrebbero garantire uno sconto sui criteri ordinari di accesso all’Inps a circa 55mila persone nel 2022.

Riforma pensioni 2023: le ipotesi d’intervento per i giovani e per le donne con figli

Una parte importante della nuova riforma dovrebbe poi coinvolgere i soggetti deboli e le situazioni di rischio prodotte dal passaggio al sistema contributivo puro. È il caso dei giovani che hanno iniziato a versare dopo il 1996 e che si trovano inseriti all’interno del sistema contributivo puro. Per queste persone, si concretizza il rischio concreto di assegni estremamente bassi, soprattutto se risultano soggetti a carriere discontinue.

Al fine di evitare la possibilità di cadere in povertà in età avanzata, i sindacati chiedono da tempo di avviare una pensione di garanzia. Ad esempio offrendo 1,5 anni di versamenti per ogni anno di lavoro, oppure riconoscendo gratuitamente gli anni di formazione. Per le donne c’è invece allo studio la possibilità di rendere strutturale l’opzione donna, visto che si basa sul calcolo contributivo puro dell’assegno. E l’avvio di un bonus maternità di 12 mesi di contributi aggiuntivi per ogni figlio.

Infine, interventi importanti sono attesi anche sulla previdenza complementare. Visti gli effetti del passaggio al sistema contributivo, il rilancio del comparto appare fondamentale. E potrebbe passare per un ampliamento dell’adesione tramite il silenzio assenso, così come per una riforma fiscale volta a incentivare ulteriormente la partecipazione dei lavoratori. Soprattutto in riferimento a quelli più giovani. I quali hanno le maggiori difficoltà ad aderire, ma che risultano anche i soggetti con maggiori possibilità di beneficiare del pilastro previdenziale privato.

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