Pensioni: rivalutazione con assegni in rialzo nel 2022
Dal 2022 le pensioni potrebbe essere più ricche: le ipotesi di rivalutazione per effetto della maggiorazione, assegni più alti per quasi 23 milioni di persone.
Le pensioni nel 2022 potranno beneficiare di una rivalutazione, con assegni più ricchi per quasi 23 milioni di persone. Agli assegni erogati dall’Inps saranno infatti applicate le cosiddette maggiorazioni dovute agli adeguamenti per la crescita del costo della vita. Si tratta di un meccanismo di rivalutazione pensato per compensare il caro prezzi dovuto alla crescita economica avvenuta nel 2021.
La platea dei potenziali beneficiari è ampia e il nuovo aggiornamento dovrebbe garantire complessivamente circa quattro miliardi di euro in più, distribuiti nelle tasche dei pensionati italiani. Un aggiornamento che non interesserà solo le pensioni erogate dall’Inps, ma anche le casse di previdenza private dei professionisti che risultano iscritti a un Ordine.
Ma procediamo con ordine e vediamo innanzitutto come funziona il meccanismo di rivalutazione applicato in favore dei pensionati, ricordando che la legge prevede differenti percentuali di adeguamento in base al reddito e alla specifica tipologia di assegno.
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Pensioni più alte nel 2022, ma la rivalutazione non sarà identica per tutti
Per capire in che modo varierà l’assegno pensionistico bisognerà considerare innanzitutto all’interno di quale fascia rientra ciascun potenziale beneficiario. Le stime prevedono, ad esempio, un incremento medio annuo di circa 300 euro per chi percepisce una pensione di 1500 euro lorde. A livello mensile, l’aggiornamento dovrebbe quindi garantire attorno alle 25 – 30 euro in più per ogni cedolino.
La cifra indicata è ovviamente lorda, pertanto il netto effettivamente percepito dipenderà dall’aliquota Irpef applicata. Nonché dalla eventuale presenza di altri redditi assoggettabili alla tassazione. La decisione finale sul punto spetterà al governo, che potrà decidere di applicare il sistema già in uso oppure proporre delle modalità differenti rispetto al passato.
La rivalutazione delle pensioni e le previsioni inserite dal governo nella NaDef
Il governo Draghi ha già fornito alcune indicazioni di portata generale in merito all’aumento del costo della vita. In base ai dati forniti dall’Istat (indice Foi), il caro prezzo nel corso del 2021 è corrisposto a un aumento dell’1,5%. La rivalutazione dovrebbe quindi assestarsi sulla stessa cifra percentuale.
È importante anche ricordare che nel corso del 2021 le pensioni non hanno ricevuto alcuna rivalutazione, visto che nel 2020 il dato fornito dall’Istat risultava negativo. La pandemia aveva infatti creato un processo di deflazione. Il dato relativo all’anno in corso risulta invece positivo, un aspetto che secondo i sindacati conferma la necessità di procedere all’applicazione delle maggiorazioni.
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Nel 2021 si concretizza lo stop all’attuale sistema di rivalutazione delle pensioni
Tenendo presente il quadro appena evidenziato, è opportuno sottolineare che nel corso del 2021 terminerà anche il sistema di perequazione attuale. La maggiorazione è stata finora applicata in maniera graduale a tutte le pensioni dirette e indirette che vanno da tre a nove volte la minima Inps.
Vengono invece esclusi da qualsiasi blocco alla maggiorazione gli assegni più bassi, che finora hanno sempre beneficiato delle rivalutazioni piene. Tra le attività di riforma del settore previdenziale il governo potrebbe quindi pensare a un diverso meccanismo di adeguamento, sebbene sussista sempre il rischio di incostituzionalità nel caso in cui si decida per procedimenti poco omogenei.
Sul punto è fondamentale ricordare che circa 20 milioni di pensioni erogate dall’Inps sono al di sotto delle 2mila euro lorde, un tetto che difficilmente può essere escluso da un adeguamento all’inflazione.
Cosa accadrà alle pensioni nel 2022 senza ulteriori interventi del governo
Nel caso in cui non ci fosse un intervento del governo, a partire dal prossimo 1° gennaio si concretizzeranno nuovamente i tre scaglioni previsti con la riforma del governo Prodi. Si tratta di adeguamenti che predono rivalutazioni più generose anche per le pensioni più alte. Ma il costo sarebbe molto più elevato anche per le casse dell’Inps (4,5 miliardi di euro).
Lasciare invece invariato l’attuale sistema, composto da sei fasce, avrebbe un costo stimato attorno ai 4 miliardi di euro. Le regole in vigore prevedono una rivalutazione piena fino a quattro volte la minima Inps. Si sale al 77% per assegni tra quattro e cinque volte e al 52% per assegni tra cinque e sei volte. Al 47% per assegni tra sei e otto volte. Al 45% per assegni tra otto e nove volte il trattamento minimo. Infine, oltre questa soglia la rivalutazione applicata è del 40%.
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