Pensioni, i dati Inps sui baby pensionati: 561000 assegni versati da oltre 40 anni
Sulle pensioni si torna a discutere di baby pensionati. Sono oltre mezzo milione coloro che ricevono un assegno dall’ente pubblico di previdenza da più di 40 anni. L’impatto degli emolumenti sui conti dell’Inps.
Sulle pensioni si torna a discutere di baby pensionati. L’Inps ha infatti diffuso i dati in merito a coloro che ricevono un assegno da oltre 40 anni: si tratta di oltre mezzo milioni di persone. Un dato che ha evidenti riverberi sui conti pubblici. A fare il punto della situazione è stato l’Osservatorio dell’ente sugli assegni previdenziali ancora in corso di pagamento all’inizio dell’anno corrente. Secondo i rilievi contabili e attuariali, risultano in essere oltre 561mila pensioni pagate dal 1981 e dai precedenti anni.
La fotografia scattata dai tecnici pubblici evidenzia che di queste, 318mila sono quelle depurate dalle pensioni di invalidità. Tra queste troviamo però anche gli assegni di vecchiaia e quelli di reversibilità, pagati ai superstiti. Facendo invece i conti rispetto al settore di provenienza, nel settore pubblico gli assegni pensionistici decorrenti dal 1980 (e negli anni precedenti) sono poco più di 53mila, mentre altri 17500 risalgono al 1981.
Nel settore privato le pensioni in vigore al 1980 risultano 423mila, mentre sono oltre 67mila quelle che decorrono nel 1981. I dati mettono quindi in mostra che il problema dei criteri eccessivamente favorevoli di accesso all’Inps nel periodo in oggetto risultava condiviso e non appannaggio di una specifica categoria.
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Baby pensioni: l’analisi dei dati in base al settore di provenienza
Il discorso rimane pressoché similare anche se si effettua un’analisi dei dati per settore di provenienza. Tutto ciò, in virtù dei criteri di accesso alla quiescenza ben più facili da maturare rispetto a quelli presenti oggi. Le pensioni del settore privato in vigore dal 1980 sono state erogate a partire da un’età media di 41,84 anni. Anche l’importo medio resta però modesto: 587 euro al mese. Si tratta, in ogni caso, di assegni anticipati. La pensione di vecchiaia veniva invece raggiunta a 53,76 anni.
Nel settore pubblico l’età media scende a 41,2 anni. Mentre le pensioni di vecchiaia presentano una media di accesso a 44 anni (e un importo medio mensile che sale a 1525 euro). Nel 1980, per molte donne dipendenti pubblici con figli risultava possibile accedere alla pensione con appena 14 anni e mezzo (più un giorno) di versamenti. Si tratta delle cosiddette baby pensioni, che ancora oggi vengono erogate in favore di migliaia di persone. Altre opzioni di quiescenza permettevano comunque di uscire dal lavoro attorno ai 25 anni di versamenti.
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La differenza rispetto ai criteri di accesso alla pensione attuali
I numeri appena evidenziati destano certamente non pochi interrogativi, se non altro in confronto alla rigidità dei criteri attuali che è necessario maturare per poter ottenere l’agognato assegno previdenziale. Ad oggi l’accesso alla pensione di vecchiaia è consentito a partire da 67 anni di età e 20 anni di versamenti. I lavoratori inseriti all’interno del sistema contributivo puro potrebbero veder salire questo parametro oltre i 70 anni nei prossimi decenni, in virtù degli adeguamenti all’aspettativa di vita.
Le pensioni anticipate previste dalla legge Fornero sono invece garantite a partire da 42 anni e 10 mesi di versamenti per gli uomini e un anno in meno per le donne. L’attuale sistema prevede inoltre diverse opzioni di prepensionamento di natura sperimentale, ma molte di queste consentono un anticipo massimo di 5 o 6 anni rispetto ai criteri ordinari di quiescenza.
In paragone ai dati riportati in precedenza, appare quindi chiara la differenza con i criteri attuali, visto che attorno al 1980 era possibile uscire dal lavoro con appena 20-25 anni di versamenti. Basti pensare che nel 2020, l’età media di accesso alla pensione di vecchiaia per gli impiegati pubblici era fissata a 65,8 anni.
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