Pensioni, governo propone uscita da 64 anni con taglio del 3%
Pensioni, governo verso un’importante apertura in merito alla flessibilità previdenziale. Nell’incontro tenutosi durante la giornata di ieri con le parti sociali è arrivata la prima proposta concreta di riforma del settore. Un cambio di passo che dovrebbe concretizzarsi a partire dal 2023, con il superamento della quota 102. E l’obiettivo di arrivare a un meccanismo di flessibilità realmente strutturale. Salutando il rivolo di opzioni sperimentali che hanno caratterizzato gli scorsi anni.
Dal punto di vista pratico, si concretizza quindi un passo in avanti, sebbene restino le distanze con le proposte dei sindacati. Quest’ultimi avevano infatti suggerito di superare la rigidità della legge Fornero anche attraverso l’estensione a tutti i lavoratori della quota 41. Una misura che i tecnici dell’esecutivo non ritengono però sostenibile. Sullo sfondo restano quindi aperte diverse questioni.
Pensioni, governo propone le anticipate da 64 anni per tutti a partire dal 2023
Tenendo presente il quadro generale appena evidenziato, la proposta del governo concretizza una prima ipotesi di riforma. I lavoratori potrebbero ottenere uno sconto di tre anni rispetto ai criteri anagrafici d’ingresso della pensione di vecchiaia. Il cui parametro è fissato a 67 anni di età e 20 anni di versamenti. La flessibilità viene così garantita tramite un taglio del 3% per ogni anno di anticipo sulla parte retributiva dell’assegno.
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Si tratta dei versamenti antecedenti al 1° gennaio 1996. Per i lavoratori che hanno iniziato a versare dopo tale limite, esiste già infatti una possibilità simile. La legge Fornero prevede un’uscita anticipata a partire dai 64 anni di età e con 20 anni di contributi. Purché si riceva un assegno uguale o superiore a 2,8 la minima. Un limite che risulta comunque penalizzante per molti lavoratori, visto che il calcolo implica di ottenere una pensione superiore a circa 1300 euro al mese.
Riforma pensioni 2023: la strategia per garantire flessibilità con costi sostenibili
Il provvedimento rientrerebbe quindi in un contesto di compromesso sia rispetto ai limiti di età per l’accesso alla pensione, sia per quanto concerne i costi della misura. Il lavoratore potrebbe infatti ottenere il pensionamento a partire da 64 anni con un taglio massimo della parte retributiva dell’assegno del 9%. Considerando che molti ricadono nel sistema misto, il peso percentuale della penalizzazione potrebbe risultare molto contenuto sull’importo finale erogato dall’Inps.
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Mentre il peso dell’operazione sulle casse dell’Inps resterebbe contenuto, anche considerando che opzioni simili sono continuamente rinnovate di anno in anno dai governi di turno. In questo modo, si risolverebbe anche la questione delle misure di flessibilità a tempo, che creano ingiuste distorsioni tra i diversi lavoratori.
La presa di posizione della Cgil: servono approfondimenti
Per il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli “la flessibilità è un elemento rispetto al quale il governo ha dichiarato di essere intenzionato a dare delle risposte. Attendiamo di conoscerne il merito”. L’esponente delle parti sociali sottolinea l’accordo di fondo sulla necessità di superare la rigidità attualmente presente nel sistema previdenziale. A partire dall’età di uscita dal lavoro, fissata a 67 anni per la pensione di vecchiaia.
Resta però fondamentale prevedere anche dei meccanismi di flessibilità per i lavoratori precoci, che attualmente sembrano esclusi dalle ipotesi di riforma e dagli impegni presi dall’esecutivo. In tal senso, Ghiselli sottolinea che “nessuna apertura è stata fatta rispetto alla nostra richiesta relativa alla riduzione dell’accesso a 41 anni per la pensioni anticipata”.
Pensioni flessibili, le dichiarazioni del segretario confederale UIL Domenico Proietti: no al ricalcolo contributivo
Rispetto ai fatti appena esposti, resta comunque aperta la dialettica tra governo e sindacati. In un commento rilasciato a caldo dal segretario confederale della Uil Domenico Proietti, è significativo che il governo riconosca la necessità d’introdurre una flessibilità nell’età di accesso alla pensione. Ma il ricorso a nuove penalizzazioni rappresenta un’idea sbagliata. Proietti ricorda che “in Italia, da 10 anni, si va in pensione a 67 anni di età, mentre in Europa la media solo ora raggiunge i 63 anni. Il tema, quindi, è quello di riallineare l’età di accesso alla pensione a quello che avviene in Europa”.
Per raggiungere l’obiettivo, è necessario seguire “anche, la strada dei lavori gravosi e usuranti, eliminando tutti i vincoli formali che hanno impedito ai lavoratori di poter utilizzare questi strumenti. Si deve dare una risposta ai lavoratori precoci stabilendo che 41 anni di contributi sono sufficienti per andare in pensione a prescindere dall’età. Nel sistema contributivo vanno superate le soglie reddituali che impongono a chi ha carriere più deboli o discontinue di andare in pensione più tardi”.
Sulle pensioni la Cisl chiede di non applicare il ricalcolo contributivo
Per il segretario confederale della Cisl Ignazio Ganga “la flessibilità per andare in pensione è un elemento utile al sistema previdenziale”. Il punto di partenza è quindi importante, anche se non è possibile “accettare il ricalcolo interamente contributivo”. Così come “devono essere quantificate le platee dei lavoratori che potrebbero essere coinvolte nei meccanismi di uscita”.
Il sindacalista precisa inoltre la contrarietà alla chiusura del governo rispetto l’ipotesi di pensionamento con 41 anni di contributi. Ganga conclude spiegando che “è ora di iniziare a restituire ai pensionati e ai lavoratori maggiori diritti in tema di previdenza”. Per questo motivo si chiede al governo di dare risposte alle richieste avanzate dalla piattaforma sindacale. Che partono da una pensione flessibile a partire dai 62 anni di età e dalla quota 41 estesa a tutti i lavoratori.
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