Pensioni e ingiustizia generazionale: si rischiano i 71 anni per chi è nel contributivo puro
Sulle pensioni arriva il nuovo allarme lanciato da Itinerari Previdenziali. Le ingiustizie del sistema vanno a pesare su chi è iscritto al sistema contributivo puro. Troppi vincoli per le uscite di vecchiaia, si rischia di accedere all’Inps solo dai 71 anni di età.
Le pensioni restano uno dei punti caldi della riforma del welfare. Il governo è chiamato a prendere decisioni importanti entro la fine dell’anno, quando scadrà la sperimentazione relativa alla quota 100. Ma sullo sfondo è evidente la necessità di un riordino più ampio del sistema di previdenza pubblico. A partire da un allineamento rispetto ai criteri adottati nel misto retributivo, che presenta regole più flessibili sia per il pensionamento che nella garanzia dell’assegno minimo.
Su tutti questi punti è intervenuto negli scorsi giorni l’esperto Alberto Brambilla, presidente del centro studi “Itinerari previdenziali”. Attraverso un lungo editoriale, l’economista ha ricordato innanzitutto i vincoli presenti nel sistema contributivo per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Quest’ultima nel 2022 sarà disponibile a partire dai 67 anni di età solo nel caso in cui si siano maturati anche gli altri due vincoli.
Servono infatti contestualmente 20 anni di versamenti e un assegno uguale o superiore ad 1,5 volte la pensione minima (circa 694 euro lorde al mese). Se non si raggiungono tutti i paletti, si slitta a 71 anni di età, quando l’assegno viene erogato con almeno 5 anni di versamenti. In tale evenienza, la distanza tra l’accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto è di ben 4 anni.
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Riforma pensioni e sistema contributivo puro: le altre uscite anticipate disponibili nel 2022
In alternativa a quanto appena esposto, i lavoratori iscritti nel sistema contributivo puro possono beneficiare di alcuni meccanismi di uscita anticipata. Tutti risultano però caratterizzati da criteri piuttosto rigidi. Un primo meccanismo di prepensionamento prevede la maturazione di almeno 64 anni di età con 20 anni di versamenti, ma in questo caso l’assegno deve risultare uguale o superiore a 2,8 volte la minima.
Tradotto in cifre, bisogna raggiungere una pensione lorda di almeno 1294 euro al mese. Una cifra difficile da maturare soprattutto per chi ha vissuto situazioni di disagio o una carriera discontinua. Si pensi al caso dei precari o delle donne che si sono dedicate alle attività di cura. L’alternativa è caratterizzata dalla pensione anticipata ordinaria, disponibile con 42 anni e 10 mesi di versamenti (un anno in meno per le donne).
Qui la principale difficoltà si riscontra nel maturare una storia contributiva adeguata. Tutto ciò, soprattutto in un mercato del lavoro come quello attuale, dove purtroppo è facile incorrere in buchi contributivi dettati da periodi di disoccupazione non adeguatamente coperti da tutele.
Pensioni di vecchiaia: il nodo dei giovani e del contributivo puro
Tenendo presente quanto appena evidenziato, Brambilla procede con un’ulteriore considerazione rispetto all’equità tra i diversi meccanismi di funzionamento del nostro sistema previdenziale. In particolare, l’esperto ricorda che il sistema contributivo puro non presenta la tutela dell’adeguamento alla minima. È inoltre associato generalmente ai più giovani, ma di fatto ingloba tutti coloro che hanno iniziato a versare dal 1° gennaio 1996.
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Questo significa che attualmente rientrano in tale quadro di regolamentazione molti cinquantenni. Si tratta di lavoratori che si stanno avvicinando all’età della pensione e che non possono continuare a essere definiti come giovani. Entro i prossimi anni, molti di questi soggetti potrebbero trovarsi nella necessità di dover accedere a una pensione anticipata. Senza un intervento da parte del legislatore, si dovranno confrontare con la rigidità dei meccanismi caratteristici del sistema contributivo puro.
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