Pensioni anticipate dai 64 anni: dalla Corte dei Conti stop a quota 100, favorevole a un’opzione di riequilibrio
Sulle pensioni anticipate arriva la nuova bocciatura di quota 100 da parte della Corte dei Conti. Ma c’è l’ok alla possibile uscita flessibile a partire dai 64 anni di età. Resta l’incertezza su cosa accadrà a partire dal 2022.
Le pensioni anticipate a partire dal 2022 continuano a restare un’incognita, con una riforma che alla metà dell’anno fatica ancora a decollare. Negli ultimi giorni si sono concretizzate nuove prese di posizione in merito allo stato attuale del comparto previdenziale. La Corte dei Conti ha espresso un parere negativo in merito alla quota 100, l’opzione sperimentale che si concluderà al prossimo 31 dicembre 2021.
L’opzione permette ai lavoratori di ottenere l’ingresso nell’Inps a partire dai 62 anni di età e con almeno 38 anni di versamento. Di fatto, si tratta di un anticipo di cinque anni rispetto ai criteri della pensione di vecchiaia. Quest’ultima fissa il paletto anagrafico al raggiungimento dei 67 anni di età (con almeno 20 anni di contribuzione). Un intervento sui criteri ordinari della legge Fornero diventa quindi indispensabile. Gli esclusi dalla quota 100 rischiano infatti di trovare di fronte a sé un vero e proprio scalone per la propria quiescenza.
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Pensioni anticipate e quota 100: perché la Corte dei Conti ha bocciato la misura
L’eventualità che la quota 100 possa essere rinnovata anche a partire dal prossimo anno diventa quindi sempre più flebile. Secondo il dossier elaborato dalla magistratura contabile, le pensioni liquidate tramite questa opzione sono state al di sotto delle stime. Le previsioni indicano l’utilizzo di circa due terzi delle risorse effettivamente stanziate per sostenere il meccanismo di prepensionamento.
Ad avere perplessità sull’opzione sarebbero quindi gli stessi lavoratori, posto che il pieno utilizzo non è stato raggiunto nemmeno con l’avvento della pandemia. Pesa, con molta probabilità, la necessità di maturare un importo dell’assegno più elevato (posto che la minore contribuzione dovuta all’anticipo comporta comunque una pensione più bassa). D’altra parte, la necessità di garantire una possibilità di uscita anticipata dal lavoro resta un punto imprescindibile per l’equilibrio del sistema.
Riforma pensioni, verso ipotesi di prepensionamento a partire dai 64 anni di età
Ecco quindi che torna a emergere l’ipotesi di un meccanismo di prepensionamento a partire dai 64 anni di età. L’opzione è già disponibile per tutti coloro che risultano inseriti all’interno del sistema contributivo puro, cioè che hanno iniziato a versare dopo il 1996. In questo caso, risulta però indispensabile aver accumulato almeno 20 anni di contribuzione e un importo della pensione non inferiore a 2,8 la pensione sociale.
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Secondo la Corte dei Conti, è necessario “costruire un sistema di uscita anticipata che converga su un’età uniforme per lavoratori in regime retributivo e in regime contributivo puro”. I magistrati chiedono quindi di trovare una quadra. Serve garantire equità sia dal punto di vista della necessità dei lavoratori che per quanto concerne la sostenibilità del sistema.
Ed è per questo motivo che l’ipotesi di un meccanismo di pensionamento anticipato dai 64 anni per tutti (con almeno 20 anni di versamenti) potrebbe rappresentare l’opzione di riequilibrio più efficiente. La convergenza verso i 64 anni garantirebbe infatti a tutti i lavoratori, sia nel sistema misto che contributivo, di poter avere un’opzione alternativa all’assegno anticipato della legge Fornero. Un’opzione, quest’ultima, che richiede la maturazione di almeno 42 anni e 10 mesi di versamenti indipendentemente dall’età (un anno in meno per le donne).
La tenuta dei conti pubblici e gli ostacoli all’uscita per tutti dai 64 anni di età
Resta però il fatto che anche l’approvazione di una misura unica di accesso anticipato alla pensione a partire dai 64 anni non risulti facilmente praticabile. Questo perché i lavoratori del sistema misto – retributivo, sarebbero comunque chiamati ad accettare una penalizzazione (se non un vero e proprio ricalcolo al sistema contributivo). Nelle scorse settimane è emersa dal Presidente Inps Pasquale Tridico la proposta di garantire la parte contributiva dell’assegno dai 64 anni e di pagare la restante parte retributiva dai 67 anni.
Ma i sindacati si oppongono e chiedono regole certe, così come di evitare l’applicazione di penalizzazioni, trattenute o ricalcoli. D’altra parte, se la pensione fosse calcolata al ribasso molti lavoratori potrebbero essere costretti a proseguire l’attività lavorativa per l’insufficiente tasso di sostituzione tra ultimo stipendio e primo assegno previdenziale. Insomma, la possibilità di arrivare a un accordo in grado di soddisfare tutti resta fortemente legata alle risorse disponibili e agli inevitabili effetti di una possibile penalizzazione permanente sugli importi degli assegni anticipati.
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