Cedolare secca affitti, convenienza a rischio con l’inflazione
Cedolare secca affitti, la formula di tassazione piatta sta diventando meno appetibile con il ritorno dell’inflazione. Se la crescita del carovita dovesse perdurare e trasformarsi in un fenomeno stabile, molti proprietari di appartamenti potrebbero rinunciare all’opzione in virtù della tassazione ordinaria. La quale prevede la possibilità di adeguare il canone al costo della vita sulla base della variazione dell’indice dei prezzi al consumo fornita dall’Istat.
D’altra parte, la cedolare secca garantisce una tassazione in forma ridotta, dal 10% al 21%, percentuale che rappresenta il tetto massimo di applicazione. Un vantaggio considerevole in passato, quando l’inflazione era pressoché nulla e l’imposizione fiscale ordinaria poteva risultare anche doppia. Oggi le prospettive inflattive hanno fortemente cambiato il quadro macroeconomico. Tanto da mettere in dubbio la convenienza della cedolare secca sugli affitti.
Cedolare secca sugli affitti: che cos’è e come funziona
Prima di entrare nel merito della vicenda, è opportuno specificare meglio il tema in via di approfondimento. La cedolare secca sugli affitti è una opzione di tassazione introdotta nel 2011 e che si pone in alternativa alla tassazione ordinaria. Significa quindi che sostituisce l’Irpef, le relative addizionali e le altre imposte indirette (di registro e bollo). L’obiettivo del legislatore era di frenare l’evasione fiscale sulle locazioni, incentivando così la registrazione dei contratti.
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Il sistema fiscale della cedolare secca prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 21% sui contratti a canone libero. L’imposta scende al 10% per i canoni di immobili affittati in via convenzionata, al fine di favorire le fasce di popolazione economicamente più deboli e di contrastare l’emergenza abitativa.
Cedolare secca affitti, qual è l’impatto dell’inflazione
Per comprendere in modo approfondito perché la cedolare secca sugli affitti potrebbe presto diventare un’opzione fuori mercato bisogna analizzare prima di tutto l’effetto del mancato adeguamento sui canoni. È bene infatti sapere che la tassazione ordinaria prevede di applicare al canone libero fino al 100% dell’inflazione registrata dall’Istat. Qualora si scelga invece il canone concordato, la percentuale di applicazione scende al 75%.
La rivalutazione viene invece completamente sterilizzata per i proprietari che scelgono di adottare la cedolare secca. La legge prevede infatti che questa risulti congelata “per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione”. Di fatto, in questo modo viene negata “la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone”.
Una eventualità che prende forma “anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente”.
Cedolare secca e blocco dell’adeguamento: quanto varia il canone nel 2022
Tenendo nota di quanto appena esposto, basta applicare i dati dell’inflazione registrati nella prima parte del 2022 per rendersi conto del problema in corso. Molti proprietari potrebbero presto passare alla tassazione ordinaria visto che nell’ultimo mese di agosto l’inflazione ha superato l’8%. La mancata rivalutazione del canone rischia quindi di vanificare l’importante sconto fiscale.
Con l’effetto che i proprietari dotati di un reddito complessivo più basso saranno per primi incentivati a rinunciare alla tassa piatta. Anche considerando che l’applicazione dell’Irpef ordinaria permette di beneficiare di detrazioni e deduzioni. Elementi che non possono essere scontati sulla cedolare.
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Cedolare secca, affitti, convenienza da valutare con l’opzione
La convenienza della cedolare secca sugli affitti sarà quindi da valutare con attenzione. L’impatto ovviamente cambierà in base alla situazione personale, quindi non è possibile offrire un’indicazione facilmente applicabile in senso generale. Ma facendo degli esempi, un canone di locazione di 500 euro al mese con un’inflazione dell’8% in cedolare secca perderà circa 40 euro al mese. La perdita sale a 80 euro al mese per contratti da 1000 euro.
La convenienza dovrà essere valutata in base all’applicazione dell’Irpef e delle relative addizionali locali e regionali, oltre che delle imposte di bollo e di registro. Si tratterà quindi di una semplice operazione matematica. Con l’applicazione della cedolare secca al 10% la mancata rivalutazione potrebbe comunque essere compensata dalle minori imposte. Ma si tratta di uno scenario previsto in pochi casi.
L’aliquota del 21% risulterà invece in molti casi meno conveniente della tassazione ordinaria, qualora si possa applicare la rivalutazione del canone al 100%. Se il caro vita dovesse inoltre proseguire nei prossimi anni, la perdita nel canone di affitto rischia di diventare più importante e difficilmente recuperabile.
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