Cerni (Generali): la pandemia è un momento di trasformazione totale

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11/09/2021

Con la pandemia il lavoro va completamente ripensato. Ulisse, esempio di mente multiforme e colorata, ci insegna una leadership legata a ciò che accade.

Cerni (Generali): la pandemia è un momento di trasformazione totale

In occasione del recente lancio del libro “Ulisse, parola di leader” (Marsilio Editore) intervistiamo Enrico Cerni, Head of Faculty and Mandatory Training presso Generali Italia.

Partiamo dalla sua attività professionale: lei è manager, formatore, scrittore: come si legano tra di loro questi ruoli nella sua quotidianità lavorativa in Generali Italia?

Tra i miei riferimenti culturali preferiti ci sono le teorie della complessità. Credo che una delle ricchezze possibili – approcciando l’esistenza da un punto di vista della complessità – sia quella di poter avere più vite contemporaneamente. Ed è quello che sto cercando di fare da sempre. Tenere separati i tanti Io che esistono, ma poterli fare dialogare e giocare tra di loro e tenersi per mano. Le cito Herbert Marcuse, che ha scritto L’uomo a una dimensione… a me piace superare questa concezione. La mente colorata: è la mente di Ulisse, l’uomo che volge lo sguardo all’infinito.

Il ruolo della formazione professionale e personale è considerato come centrale nella vostra realtà, tanto da aver messo a disposizione dei dipendenti una vera e propria Academy: può raccontare come si sviluppa il percorso di formazione del personale?

Generali ha proprio questa grande attenzione per l’innovazione e per le persone. Il tema people è centrale nell’organizzazione. Avendo una elevata attenzione per le persone, c’è anche una forte attenzione sul tema della formazione, che diventa un’attenzione per l’apprendimento. Questo slittamento, da formazione ad apprendimento, è veramente essenziale perché l’Academy ritiene che il soggetto responsabile della formazione non sia la struttura, ma la persona che impara. E quindi anche il ruolo di chi si occupa di formazione è completamente cambiato negli ultimi anni, perché da coloro che danno contenuti ci siamo trasformati in registi di apprendimento e facilitatori. Un’Academy deve mettere a disposizione e orientare dei percorsi, senza essere responsabile per la persona perché il centro è la persona.


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Qual è stato l’impatto della crisi dettata dal coronavirus su questo particolare ambito?

Per chi si occupa di formazione la pandemia ha rappresentato un momento di trasformazione totale e l’Academy ha svolto un ruolo straordinario. Noi siamo in smart working da fine febbraio 2020. Il 9 marzo dello scorso anno avevamo già il primo webinar tenuto da colleghi, interattivo e strutturato con il massimo della partecipazione possibile. È un momento di evoluzione, di crescita, di trasformazione anche per chi si occupa di formazione. Con un risultato in termini di facilitazione all’apprendimento enorme, sia dal punto di vista della quantità (nei tempi complessivi) sia di qualità (nella partecipazione e attivazione su casi concreti). 

Negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare molto di didattica a distanza, sia per i diversi profili di formazione scolastica ordinaria che per l’aggiornamento professionale nelle aziende: cosa significa, a suo parere, trovare un impiego davvero efficace delle nuove tecnologie in questo settore?

Io sono un entusiasta di quello che è avvenuto dal punto di vista della possibilità di stare vicini alle persone e di poterle aiutare anche a cogliere e vivere il momento, la difficoltà del qui e ora della pandemia. Per noi di Generali Academy Italia ha significato raccogliere tantissime testimonianze di gratitudine e quasi di affetto. Le persone hanno sentito in questa formula vicinanza, capacità di essere orientati al risultato e anche grande stimolo alla partecipazione. Questo ha significato una ri-progettazione radicale dei contenuti per noi, perché il webinar è diventato un momento nel quale ogni pochi minuti avvengono cose, cambiano gli scenari e nel quale le persone sono chiamate a “fare”.


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Passiamo al suo nuovo lavoro editoriale: “Ulisse, parola di leader”: com’è nata l’idea di usare l’Odissea per interpretare il presente?

L’Odissea è l’archetipo di tutti i viaggi e la nostra esistenza è un viaggio. È fatto di momenti di difficoltà e di incertezze e Ulisse rappresenta un bellissimo esempio perché raggiunge un risultato nel lungo periodo. È una persona resiliente. Questo suo all obsessing desire, desiderio costante di ritorno e quindi di ricostruzione e di benessere, l’ha occupato per 20 anni. 10 anni di guerre e 10 anni di difficoltà di rientro. Dall’Odissea possiamo trarre tantissimi riscontri. Questo è un libro a quattro mani con il professor Giuseppe Zollo, con le quali mi accomuna l’interesse, la passione e il divertimento per Dante Alighieri, oltre che per la complessità.

Nel suo libro spiega che Ulisse, in quanto leader, è riuscito appunto a dare forma alla potenzialità umana d’interrogare il proprio io. Si può riuscire a portare nella quotidianità del 2021 questo proposito?

Sì è possibile perché lo scostamento, lo scivolamento non sta nell’ottenere la risposta, ma nel porsi la domanda. Io non so se riusciremo a ottenere le risposte a tutto questo. Però so che anche rileggendo i classici abbiamo la possibilità di mettere meglio a fuoco le domande. E già porsi la domanda più corretta è un bel passo in avanti. Per altro la risposta sia per gli aspetti legati alla complessità umana, sia per la posizione di Ulisse, è sempre multiforme. È sempre colorata.

Ulisse è stato definito l’eroe dalla mente colorata da Piero Citati, scrittore del Novecento, ed è proprio così. Ci insegna ad apprezzare il colore della nostra mente e ad apprezzare le menti e i cuori delle persone con le quali ci interfacciamo. Ulisse usa le parole appropriate a seconda dei diversi contesti, quindi non è mai uguale a se stesso. È sempre diverso in base alle persone con le quali si interfaccia e delle situazioni con le quali va a scontrarsi. Ci insegna quindi una leadership legata a ciò che accade.

Abbiamo parlato di formazione, di crescita personale e di leadership: tutte qualità essenziali per vivere consapevolmente il presente e affrontare il futuro in un momento così delicato come quello attuale. Dal suo particolare punto di osservazione, cosa possiamo apprendere da questa pandemia?

Dalla pandemia possiamo imparare tantissimo. Abbiamo appreso il fatto che in passato commettevamo errori inconsapevoli legati all’inerzia. Penso a quante volte personalmente ho preso il treno da Mestre per Milano alle 6:32 per partecipare a un paio di riunioni di un’ora. A quante volte ci siano state delle richieste di colleghi di spostarsi da un luogo all’altro dell’Italia per gestire delle occasioni di incontro formale. Ma anche a quanti colleghi facevano un’ora e più di tragitto per andare in ufficio e per tornare a casa quando lo stesso lavoro poteva essere fatto da remoto.

Credo che le opportunità date dalla pandemia siano queste: il fatto che il lavoro vada completamente ripensato e la consapevolezza che non possiamo annullare le relazioni, che dobbiamo trovare dei modi di valorizzare i tempi proficui di compresenza negli stessi spazi, ma quest’ultima modalità non è l’unica con la quale si possa lavorare. L’integrazione tra remoto e presenza è tutta da costruire, ma sarà il futuro.

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