Pensioni 2023, le proposte su minime, opzione donna, ape e Quota 41
Pensioni 2023, il tema si prospetta come decisivo per la prossima campagna elettorale. Non è un caso se la questione previdenziale è emersa subito al centro delle proposte avanzate dai vari partiti. D’altra parte, il voto del prossimo 25 settembre appare vicino e i tempi per convogliare l’interesse dei potenziali elettori sono stretti.
Così, dopo un lungo periodo di stallo, la questione previdenziale è tornata al centro dell’attenzione. Il tavolo delle proposte è ricco di ipotesi, molte delle quali riprendono le richieste che ormai da anni vengono portate avanti dai lavoratori. Si va dall’innalzamento delle pensioni minime alla quota 41, fino alla stabilizzazione dell’Ape sociale e dell’opzione donna.
Pensioni 2023, le proposte avanzate dal centro sinistra
Partiamo dalle proposte avanzata dal centro sinistra, che sembra puntare innanzitutto a stabilizzare le opzioni di tutela in scadenza il prossimo 31 dicembre. Tra queste, vi è il rinnovo della pensione anticipata tramite Ape sociale e dell’opzione donna. La prima consente attualmente l’uscita dal lavoro a partire dai 63 anni di età e con 30-36 anni di versamenti.
L’opzione donna permette invece alle donne di ottenere l’uscita dal lavoro con 58 anni di età (59 anni per le autonome) e 35 anni di versamenti. Il tutto accettando una finestra di attesa che va dai 12 ai 18 mesi, oltre al ricalcolo interamente contributivo dell’assegno.
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Le proposte del centro destra per la riforma pensioni 2023
Il centro destra ha avviato la campagna elettorale con la proposta di Silvio Berlusconi di innalzare le pensioni minime a 1000 euro. Si tratta di un’ipotesi già avanzata negli anni passati da Fratelli d’Italia e che finora non ha trovato realizzazione. A pesare sul punto vi sono soprattutto i costi realizzativi, corrispondenti a circa 18 miliardi di euro.
La Lega è tornata su uno dei propri cavalli di battaglia, ovvero l’estensione della quota 41 in favore di tutti i lavoratori precoci. Attualmente l’opzione è disponibile solo per chi ha versato almeno 12 mesi di contributi prima della maggiore età. In aggiunta, occorre rientrare in una delle opzioni di tutela previste dalla legge. La misura avrebbe costi crescenti dai 4 ai 9 miliardi l’anno secondo i tecnici dell’Inps.
La proposta della doppia uscita a partire dai 64 anni avanzata dal M5S
Il movimento 5 stelle ha avanzato una proposta di doppia uscita a partire dai 64 anni di età e con almeno 35 anni di versamenti. L’ipotesi è stata illustrata nei mesi passati direttamente dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Il meccanismo di flessibilità consentirebbe di ottenere la parte contributiva dell’assegno con tre anni di anticipo sul pensionamento di vecchiaia.
Al raggiungimento dei 67 anni di età, il lavoratore potrebbe ottenere la pensione completa. Il via libera sarebbe però legato dalla presenza di un assegno minimo utile a garantire un tenore di vita adeguato sin dai 64 anni. In aggiunta, i 5S propongono di consentire il riscatto gratuito della laurea. Un’ipotesi che potrebbe pesare sui conti pubblici per circa 4 o 5 miliardi di euro l’anno.
Pensioni 2023: perché il tema occuperà un posto privilegiato nella campagna elettorale
Come già anticipato, le pensioni saranno probabilmente al centro della campagna elettorale. Questo perché senza un intervento all’interno della legge di bilancio 2023, si tornerà alla rigidità imposta dalla legge Fornero. Il prossimo 31 dicembre terminerà infatti la sperimentazione della quota 102, ma si concluderanno ufficialmente anche l’Ape sociale e l’opzione donna.
Gran parte delle proposte in arrivo dalla politica puntano quindi a garantire maggiore flessibilità in uscita dal lavoro. Anche se sul punto la sfida consisterà nel trovare la quadra con la tenuta dei conti pubblici, soprattutto in un contesto difficile dal punto di vista macroeconomico e geopolitico.
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Vi è poi la questione della tenuta sociale, anche in virtù della crisi economica e del crescente costo della vita. Secondo le recenti proiezioni in arrivo dall’Inps, circa il 32% dei pensionati percepisce meno di 1000 euro al mese. Si tratta di oltre 5 milioni di persone. Ma la percentuale sale al 40% se si prendono in considerazione i dati netti, cioè se si tolgono le imposte sul reddito.
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