Pensionamento d’ufficio: quando avviene e come funziona
Il pensionamento d’ufficio è un istituto presente nella pubblica amministrazione e che si pone lo scopo di limitare la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo il compimento dell’età pensionabile. L’idea alla base del provvedimento è di consentire il turn over con i giovani, garantendo allo stesso tempo l’ingresso di nuova forza lavoro. Negli scorsi anni sono cambiate le regole alla base del rapporto di lavoro in tale contesto.
In particolare, il via libera al decreto legge sul pubblico impiego e alla legge sulla PA (Dl 101/2013 e Dl 90/2014) hanno avuto un impatto importante in tale ambito. In primo luogo, attraverso la cancellazione del trattenimento in servizio.
Quest’ultimo permetteva infatti ai dipendenti pubblici di restare sul posto di lavoro oltre il limite anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia. Un parametro che attualmente matura al raggiungimento dei 67 anni di età, purché si maturino contestualmente almeno 20 anni di versamenti.
Pensionamento d’ufficio: come sono cambiate le regole nella PA
Dal punto di vista pratico, il superamento del trattenimento in servizio si accompagna alla facoltà di risolvere in via unilaterale il rapporto di lavoro per coloro che hanno raggiunto l’anzianità contributiva di pensionamento. Secondo la legge Fornero, l’uscita anticipata matura a partire dai 42 anni e 10 mesi di lavoro per gli uomini. Per le donne, è previsto uno sconto di un anno, che porta il parametro a 41 anni e 10 mesi.
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In aggiunta, il riordino delle regole sul pensionamento d’ufficio ha previsto anche un vincolo sul limite ordinamentale per la permanenza in servizio. Nella maggior parte degli uffici pubblici, questo si raggiunge alla maturazione dei 65 anni di età. Può quindi essere superato solo qualora il lavoratore non abbia ancora maturato il diritto alla pensione pubblica.
Come funziona la risoluzione obbligatoria per il pensionamento d’ufficio
Stando alle regole appena evidenziate, le pubbliche amministrazioni devono avviare il pensionamento d’ufficio per tutti coloro che al raggiungimento dei 65 anni hanno maturato un qualsiasi diritto alla pensione. Tutto ciò, ad eccezione delle diverse opzioni sperimentali presenti nel nostro ordinamento. Si pensi, ad esempio, alla quota 100 oppure alla recente quota 102, che risulta disponibile sulla base di una libera scelta del lavoratore.
Qualora non siano presenti i requisiti di pensionamento, si prosegue fino alla maturazione dei 67 anni di età. Oltre questa soglia, sarà possibile dare continuità al rapporto di lavoro solo per raggiungere la maturazione dei 20 anni di servizio. Una soglia necessaria per maturare la pensione di vecchiaia. In ogni caso, non sarà possibile superare il limite di età dei 71 anni.
Le eccezioni: ecco per quali lavoratori la risoluzione di ufficio sale a 70 anni
Il limite appena esposto dei 65 anni di età sale d’ufficio al compimento dei 70 anni per alcune specifiche categorie di lavoratori pubblici. È il caso di magistrati, avvocati e procuratori dello Stato. Rientrano anche i professori universitari, perché per loro la permanenza in servizio è più alta di cinque anni rispetto agli altri dipendenti pubblici.
Con l’emergenza covid sono state inoltre cambiate le regole per i dirigenti medici e sanitari, oltre che per il personale sanitario e gli operatori socio sanitari. La pandemia ha infatti eliminato in deroga qualsiasi limite anagrafico, al fine di garantire la continuità del servizio sanitario pubblico.
La pensione d’ufficio con la risoluzione facoltativa
Infine, l’attuale normativa permette anche di anticipare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro per esigenze specifiche dell’ente pubblico. In questo caso, il lavoratore dovrà comunque aver maturato la pensione anticipata. Ricordiamo ancora una volta che questa richiede 42 anni e 10 mesi per gli uomini (un anno in meno per le donne), senza parametri anagrafici.
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Al fine di esercitare la risoluzione facoltativa, l’ente pubblico dovrà motivare il provvedimento ai destinatari spiegando le esigenze organizzative alla base della decisione, nonché i criteri adottati. In aggiunta, l’amministrazione pubblica è tenuta a dare un preavviso di almeno sei mesi al proprio dipendente.
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