Pensioni anticipate e Quota 100, i nodi irrisolti: fuori dalla flessibilità donne e redditi bassi
La discussione sulle pensioni anticipate e sulla fine della quota 100. Pesano i vincoli di accesso, molti lavoratori restano comunque tagliati fuori dalla flessibilità previdenziale.
Sulle pensioni anticipate pesa la fine della quota 100, che rischia di imporre a molti lavoratori un’attesa lunga fino a 5 anni rispetto ai criteri ordinari. Ma la questione è più complessa di quanto non appaia a prima vista, perché di fatto la stessa opzione di flessibilità sperimentale che terminerà il prossimo 31 dicembre 2021 esclude dalla tutela una vasta platea di lavoratori.
Paradossalmente, si tratta di coloro che avrebbero maggiori necessità di fruire di un’agevolazione. Per capirlo basta osservare i dati diffusi dall’Inps in merito alle adesioni che si sono verificate in questi tre anni di sperimentazione. Di base, gli stessi criteri di accesso alla quota 100 rendono evidente il fatto. Il raggiungimento dei 38 anni di versamenti pongono infatti un vincolo preciso. L’accesso è riservato solo a chi ha avuto una carriera lavorativa continua e caratterizzata da stipendi adeguati.
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Pensioni anticipate con quota 100: le evidenze dimostrano che l’opzione è destinata solo a una parte della platea
Da questo punto di vista, la flessibilità previdenziale garantita tramite la quota 100 per molti è rimasta solo simbolica. Per ottenere la pensione anticipata con questa misura occorre maturare almeno 62 anni, un fattore che esclude molti lavoratori precoci che hanno iniziato a lavorare in giovane età. Il vincolo contributivo pone poi un limite a coloro che purtroppo hanno avuto carriere discontinue o precarie, oppure alle donne che hanno svolto lavori di cura in famiglia.
Di coloro che nel corso degli ultimi anni hanno ottenuto la pensione con questa misura, il 32% sono dipendenti del settore privato, il 36% del pubblico e appena il 15% sono artigiani e commercianti. La parte restante è spartita tra lavoratori del settore agricolo, dello spettacolo o degli altri comparti. I dati relativi al settore autonomo sono oggettivamente più bassi.
Le cose non vanno meglio se si osservano i redditi. La pensione mensile media erogata è stimata attorno ai 2200 euro. Tra chi possiede redditi bassi, anche chi riesce a raggiungere i requisiti di legge rischia infatti di restare sul posto di lavoro per evitare di ottenere una pensione troppo bassa. A pesare, in questo caso, è il vincolo sulla cessazione dell’attività lavorativa. Con la quota 100 è infatti possibile maturare al massimo redditi occasionali fino a 5mila euro l’anno lorde. Diversamente, l’Inps provvedere alla sospensione del pagamento pensionistico.
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I sindacati chiedono la flessibilità previdenziale a partire dai 62 anni o con 41 anni di versamenti
Ecco quindi spiegato perché le principali sigle sindacali chiedono di superare la quota 100 con misure di flessibilità previdenziale che possano davvero risultare di ampio respiro. Le richieste iniziali riguardavano l’accesso alla pensione anticipata con 62 anni di età e 20 anni di versamenti. In alternativa, si propone di avviare la quota 41 per tutti i lavoratori, indipendentemente dall’età anagrafica effettivamente raggiunta.
Il nodo principale da sciogliere sul punto resta quello economico. Mancano le coperture necessarie per garantire simili meccanismi di prepensionamento di natura universale. Il governo sta lavorando a misure in grado di tutelare almeno i lavoratori più fragili o che vivono situazioni di disagio in età avanzata. Si pensi, ad esempio, al rinnovo e all’estensione dell’APE sociale. Ma sullo sfondo resta la progressiva prevalenza per tutti del calcolo contributivo dell’assegno.
Il meccanismo prevede semplicemente di restituire al lavoratore quanto accumulato nel corso degli anni. Un sistema di calcolo che quindi dovrebbe garantire al lavoratore la possibilità di scegliere il momento più opportuno per andare in quiescenza. Su tutto bisogna infine considerare che il nostro sistema previdenziale funziona sul principio della ripartizione. I contributi versati non vengono accumulati nel conto di ogni lavoratore, ma servono a pagare gli assegni attualmente in essere. Un fattore che rende difficile garantire una flessibilità molto ampia anche con la prevalenza del calcolo contributivo.
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