Pensioni anticipate 2022, il dossier Inps: uscita dai 63, 64 anni oppure con quota 41, ma pesano i costi
Sulle pensioni flessibili emergono le ipotesi di riforma da parte dell’Inps: si pensa alle uscite anticipate a partire dai 63 anni oppure con almeno 41 anni di versamenti. Flop della quota 100, ha favorito i lavoratori più sicuri con scarsa staffetta generazionale.
Sulle pensioni anticipate si rianima il dibattito con le ultime proiezioni mostrate dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico. L’economista presenta un nuovo rapporto all’interno del quale ha indicato quali sono le ipotesi di riforma sul tavolo per poter garantire flessibilità al sistema nel 2022. Ma all’interno dei propri rilievi ha anche specificato i costi che risulterà indispensabile affrontare per garantire che i nuovi interventi possano andare a buon fine.
In linea generale, la relazione dell’ente previdenziale indica che la spesa pensionistica è destinata a crescere nel decennio 2022 – 2031. All’interno delle analisi si parte però da un fatto: la quota 100 non sembra aver pienamente centrato i propri obiettivi. L’opzione sperimentale ha garantito il prepensionamento di circa 180mila uomini e 73mnila donne nel primo biennio di funzionamento.
Ma il meccanismo di flessibilità è stato utilizzato in via prevalente da uomini con redditi medio alti. Vi è inoltre una elevata incidenza dei pensionamenti nel pubblico. Tutto ciò, senza che l’incidenza sulla staffetta generazionale sia risultata decisiva. Aspetti che hanno quindi portato al ripensamento della misura, visto che gli obiettivi “sociali” del provvedimento non sembrano essere stati raggiunti.
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Pensioni anticipate: tre ipotesi per il 2022, ma pesano i costi a carico della collettività
Stante la situazione appena evidenziata, la relazione del presidente Inps ha quindi analizzato le possibili opzioni che potrebbero essere approvate nel 2022. L’obiettivo resta quello di consentire maggiore flessibilità laddove risulti necessaria, ovviando al termine improvviso della quota 100. Tra le principali possibilità c’è la quota 41 per tutti, basata sugli anni effettivi di lavoro e senza l’applicazione di penalità o requisiti anagrafici.
In questo caso, sarebbe indispensabile stanziare già 4,3 miliardi di euro nel 2022, con un tetto di 9,2 miliardi di euro alla fine dell’attuale decennio. Si tratta della proposta più costosa e quindi più difficile da attuare nella sua forma pura. Diversamente, è possibile ipotizzare un meccanismo di uscita anticipata a partire dai 64 anni con almeno 36 anni di contribuzione.
In questa eventualità, il costo iniziale scende a 1,2 miliardi di euro, mentre nel 2027 ci sarebbe il picco di spesa a 4,7 miliardi. Infine, la terza opzione prevede la possibilità di ottenere la quota contributiva dell’assegno a partire dai 63 anni di età, rimandando a 67 anni quella retributiva. Così facendo, basterebbero appena 500 milioni nel 2022, mentre il costo maggiore si toccherebbe nel 2029 con 2,4 miliardi di euro.
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Resta elevata la disuguaglianza tra pensionati: attenzione al gender gap
Sullo sfondo resta purtroppo importante la disuguaglianza di genere tra i pensionati. Dall’ente pubblico di previdenza si sottolinea che nel corso dell’ultimo decennio è aumentato ulteriormente il gender gap. Colpisce la differenza di reddito tra pensionati uomini e donne. Per la pensione anticipata la differenza passa da 400 a 550 euro, mentre per quella di vecchiaia da 200 a 250 euro.
Il tutto a dimostrare che purtroppo resta ancora molto da fare anche sul mercato del lavoro. Per molte donne la penalizzazione che si concretizza al momento del pensionamento non rappresenta altro che l’effetto delle differenze di genere e dei mancati riconoscimento del lavoro di cura svolto durante la vita attiva. Con la conseguenza di risultare penalizzate sia durante la carriera, sia una volta maturato l’assegno pensionistico.
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